Covid a parte, è noto che gli alti dirigenti dei ministeri governano il Paese e che hanno la porta sempre aperta per i lobbisti quali rappresentanti diretti dei poteri forti. Li ascoltano e chiedono loro consigli. Il risultato è che moltissime proposte di legge e relativi decreti normativi sono concepiti non nell’interesse dei cittadini, ma in quello delle organizzazioni lobbistiche dei vari settori. Il settore più ghiotto da controllare è quello della comunicazione di radio, TV e carta stampata. Il 90% della opinione pubblica è formata dalla TV. Tale controllo è misurato dalla più indecente società esistente del conflitto d’interessi. È la società Auditel partecipata in modo paritario da RAI e Reti nazionali, tutte associate a Confindustria, con la diretta partecipazione della stessa Confindustria con una quota minima di rappresentanza. Auditel è prepotentemente presente in tutte le normative emesse dalla dirigenza del MISE in quanto rappresentativa della lobby più potente presente in Parlamento. Auditel e le sue partecipate, con i suoi presunti dati di ascolto, decide la morte e la vita dei settori merceologici presenti nel mercato e del comparto della tanta odiata emittenza locale. Tutto ciò si svolge attraverso telegiornali pilotati, tali show, rassegne stampa di comodo e tutto ciò che può essere funzionale alla formazione di quel 90% della opinione pubblica voluto dai manovratori della finanza, dei mercati, della politica e della magistratura. L’organizzazione del conflitto d’interessi nella comunicazione è perfetto. Ecco come funziona. L’oscuro potere forte agisce tramite una squadra di lobbisti a pagamento sui dirigenti ministeriali e sulla politica. La politica, quasi sempre ignorante su tante materie, viene preparata dai lobbisti che intanto agiscono sui dirigenti ministeriali dettando testi di leggi e decreti attuativi. Matura così il tempo della convergenza di interessi tra politica, dirigenza e lobbisti per attuare una qualsiasi disposizione di legge o normativa spesso camuffata sotto la voce linee guida. Per dare una parvenza di democrazia le linee guida vengono messe a consultazione pubblica, ma se partecipi con tuo contributo è ignorato. Il loro testo non deve essere modificato neanche di una virgola. L’ultimo episodio è di questi giorni con i canali digitali da assegnare alle TV locali in previsione della televisione T2. La tecnologia consente di utilizzare 40 canali TV in ogni frequenza, ma le linee guida del ministero stabiliscono che non si possono utilizzarne più di 25 senza spiegarne le ragioni. La REA ha chiesto chiarimenti con una lettera formale indirizzata al direttore generale Paolo Celi del Mise. Risponderà? Loro hanno il diritto di non rispondere del loro operato. Fatto sta che in quelle linee guida, unitamente al malevolo DPR 146/17 che assegna il 95% dei contributi statali a 100 TV scelte con requisiti ad hoc, si ritrova la tesi di Confindustria del 2009 secondo la quale in Italia non sono sopportabili più di una trentina di TV locali. Un piccolo esempio di conflitto d’interessi non fa testo? In realtà questa è la prova provata della prassi esistente in tutti i comparti che negli anni è divenuto sistema Italia. La lotta contro il Covid sarà vinta, ma la cancrena esistente nelle istituzioni non pare si possa vincerla facilmente.
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