Italiani in Venezuela, nei ricordi di un ex Ambasciatore:  Luigi Maccotta.

(Foto: Caracas, nel riquadro l’Ambasciatore Luigi Maccotta)

Oltre ad essere stato Ambasciatore in Venezuela (dal 2007 al 2010), Luigi Maccotta,bnato a Parigi, laureato in Scienze Politiche alla Sapienza di Roma, vanta una lunga carriera diplomatica. E’ stato primo segretario presso le Ambasciate di Tel Aviv e Berna, Consigliere economico-sociale a Tokyo, Primo Consigliere a Washington, Ambasciatore in Messico. All’interno del Ministero degli Affari esteri si è occupato spesso di America Latina, ricoprendo importanti ruoli nell’ambito della Direzione Generale per gli Affari economici, tra cui quella di Direttore per i Paesi dell’America Latina e i Caraibi.

A Maccotta abbiamo chiesto di parlare del ruolo assunto dagli italiani in Venezuela, un Paese in questo momento sull’orlo di una grave crisi sociale, dopo la rielezione per la terza volta di Nicolas Maduro: un rielezione pesantemente contestata per presunti brogli elettorali, sia dall’opposizione che da diversi Paesi.

 

Di Luigi Maccotta

La presenza di ampie comunità di oriundi di “italici” in America Latina è ben nota e documentata. I paesi dove tradizionalmente si concentra maggiormente tale presenza sono Argentina e Brasile ma poi anche in Venezuela (che vuol dire ‘Piccola Venezia’) l’impronta italiana è vasta e diffusa. Si calcola in più di un milione i venezuelani che possono vantare un’origine italiana, radici regionali alimentate da frequenti viaggi in Italia a visitare parenti oltre che dai consueti strumenti ed enti come i Comites o il CGIE, che in stretta associazione con le strutture diplomatico-consolari, danno voce alle istanze della Comunità.

Mariza Bafile, figlia del fondatore del Giornale La Voce d’Italia, principale organo di informazione della comunità, è stata (dal 2006 al 2008) eletta Deputata per la circoscrizione America Latina. In Venezuela era particolarmente avvertita, durante il mio periodo di Capo Missione a Caracas, la questione della sicurezza, fisica ancor prima che legale. Lo stesso Chavez nutriva stima per gli italiani, il suo primo filarino adolescienziale, a Sabaneta, era stata una ragazzetta italiana e gli piaceva evocare questa circostanza ogni volta che mi incontrava, ed amava sottolineare “fintanto che non fanno politica”. E a onor del vero il coinvolgimento di oriundi nella vita politica locale era limitata seppur non del tutto inesistente.

Un importante Ministro per la Programmazione economica dell’epoca chavista era Jorge Giordani, laureatosi a Bologna, che conosceva perfettamente la lingua italiana ma ne faceva una questione di principio non parlarla in quanto idioma di un Paese capitalista che ideologicamente aborriva. L’Ammiraglio Maniglia, con il quale intrattenni rapporti di grande cordialità, rivestì la carica di Ministro della Difesa sempre sotto Chavez. Il mio buon amico Rafael Lacava è stato un giovane Ambasciatore venezuelano a Roma e adesso è governatore dello Stato del Carabobo. Elvis Amoroso che è stato Vice Presidente dell’Assemblea e ora è un maduriano di ferro, si commuoveva evocando le sue origini italiane.

Ma è soprattutto negli affari che gli italici, come suole chiamarli il mio amico Giovanni Boco, si sono fatti valere e hanno brillato. Infrastrutture, strade, industrie alimentarie, trasporti e poi la costruzione di una capillare rete diClub Italia, estesa su tutto il territorio, centri di aggregazione e socializzazione, dotati di impianti sportivi, campi da tennis, piscina, ristoranti e sale cinematografiche che facevano gola e suscitavano l’invidia dei chavisti che ben volentieri li avrebbero espropriati.

Durante i miei anni a Caracas molti nella Comunità rimpiangevano il periodo precedente alla rivoluzione bolivariana, pur dovendo riconoscere che non mancavano corruzione ed inefficienze e che traevano vantaggi dalle ricchezze che offre il Paese un gruppo tutto sommato minoritario della popolazione, in genere d’origine europea (Spagna, Portogallo, Italia) mentre la stragrande maggioranza era costretta a vivere a stenti.

La mancata considerazione e sensibilità per le condizioni socio-economiche di questi settori della popolazione ha favorito l’avvento di un regime che si voleva di sinistra ma che poi ha tradito le speranze del popolo. Sono passati 11 anni dalla morte di Chavez, un visionario astuto ed autoritario ma a modo suo sincero nel credersi investito di una missione storica. La cricca dei suoi successori sta uccidendo ogni residua traccia di democrazia e speranza di vita migliore. Il mio augurio e che il popolo trovi la forza ed i coraggio di cacciare i post-chavisti e  trarre le dovute lezioni da un quarto di secolo di promesse tradite.