(Foto: nel riquadro Maria Chiara Prodi)
Intervista di Rainero Schembri
Durante le feste di fine anno abbiamo avuto la possibilità di intervistare Maria Chiara Prodi, originaria di Parma che, dopo essere stata Coordinatrice artistica dell’Opéra Comique di Parigi, è diventata direttrice della Maison de l’Italie, che fa parte della Cité Internationale Universitaire di Parigi, CIUP, (un ente che accoglie studenti, ricercatori e insegnanti). Recentemente La Prodi è stata anche eletta Segretaria Generale del Consiglio Generale degli Italiani nel Mondo. Ed è in questa veste che la abbiamo intervistata, soprattutto in merito ad alcune tematiche incentrate sulle auspicate riforme del CGIE e dei Comites (Comitati degli italiani all’estero), nonché su tutta una serie di problematiche che riguardano non solo la presenza delle nostre Comunità all’estero ma l’intero Sistema Italia. Ma ecco cosa ci ha detto.
Nell’ultima riunione del Comitato di Presidenza del CGIE lei ha sostenuto la necessità di riformare il Consiglio Generale degli Italiani all’estero. Ma quale è la principale riforma che lei ha in mente?
La proposta di riforma dei Comites da noi formulata è già stata presentata ai parlamentari perché la discutano appena possibile. E nel primo semestre del 2025 lavoreremo ad una proposta di riforma anche per il CGIE. Con leggi vetuste è difficile poter rispondere alle sfide di oggi, e chiediamo al Parlamento di aiutarci ad avere gli strumenti opportuni, sia in termini di finanziamento, che di aggiornamenti legislativi.
Se la stesura della proposta seguirà un iter che coinvolgerà tutti i consiglieri, come Segretaria Generale ho in mente soprattutto una sfida politica, nel senso alto del termine: la legge istitutiva indica che noi rappresentiamo le “comunità”. Ma quali sono queste comunità, nel 2025? E quali parteciperanno alla prossima tornata elettorale dei Comites? Le nuove mobilità sapranno unirsi per fare la forza? Riusciremo noi italiani all’estero, forse in controtendenza rispetto ad un trend che sembra inarrestabile, a scoprire la necessità e la bellezza di essere comunità, e non solo individualità bisognose di servizi? Rendere appetibile l’impegno nelle nostre reti è per me la principale sfida. Forse più una rifondazione, che una riforma.
Nella sua relazione finale lei ha anche sostenuto la necessità di un maggiore raccordo tra il CGIE e i vari Comites, nonché con i Parlamentari eletti all’estero. Ma, in concreto, come intende raggiungere questo obiettivo?
Io vedo le nostre rappresentanze come delle autostrade che aiutano i connazionali all’estero a ritrovare sempre la strada di casa. Queste autostrade devono essere manutenute, devono avere dei pannelli chiari che permettano a tutti di percorrerle sapendo chi fa cosa e chi deve anche essere sostenuto (e non solo criticato!) per fare avanzare le cose. Insomma, dove si può andare tutti insieme. Le filiere della rappresentanza sono nate in periodi diversi e uno sguardo sistemico è sempre mancato. Ecco, io credo che, chiedendoci di interagire con tutti, la legge istitutiva del CGIE ci permetta di proporre un’organizzazione, una sintesi. Non bisogna inventarsi niente, ma per esempio se ci mancano gli indirizzi mail dei Comites, è come avere una strada piena di buche. Se quando riflettiamo su temi fondamentali ci manca il contributo delle consulte regionali, delle associazioni o dei Comites, è come stare in una rotonda senza segnaletica, prigionieri dei nostri vicoli ciechi. Ecco, proporre dei processi che permettano di chiarire a tutti il modo in cui arriviamo a certe posizioni, per difenderle meglio, è per me l’obiettivo principale.
Lei non ha la sensazione che sono in molti a livello politico e amministrativo a voler ridimensionare il ruolo delle rappresentanze degli italiani all’estero. Come spiega questo fatto?
L’idea che i diritti siano acquisiti una volta per tutte non mi è mai appartenuta. Certo, è faticoso, a fronte del potenziale espresso dagli italiani all’estero e di fronte a questi numeri, avere la sensazione di dover elemosinare dell’attenzione. Ma io credo che sia davvero difficile per il nostro Paese fare i conti con il fenomeno migratorio in uscita. Credo che la disattenzione non sia frutto di disamore, ma di difficoltà ad integrare le conseguenze di una presa di coscienza così destabilizzante. C’è poi anche una difficoltà tecnica, cioè, che siamo capacissimi di quantificare i capitoli di spesa relativi agli italiani all’estero, ma siamo meno avvezzi a quantificare l’apporto in termini di rimesse e opportunità dei milioni di italiani all’estero. Anche questa è una bella sfida: riuscire a raccontare tutto quello che portiamo, e non solo quello che (legittimamente) chiediamo.
Molti italiani all’stero si stanno convincendo che è assolutamente necessario tornare ad avere un Ministero per gli Italiani nel Mondo, come è stato nel 2001 sotto il Governo Berlusconi. In quella circostanza venne nominato ministro Mirko Tremaglia, il padre della legge che introdusse il voto degli italiani all’estero. Lei non ritiene che questa esperienza andrebbe rifatta in futuro, indipendentemente dal colore politico del Governo?
Che la sintesi sui temi degli italiani all’estero, a fronte di questi numeri e di queste sfide, la debba fare un organismo di volontari pone molti interrogativi, per prima a me, che sono una madre lavoratrice e sono stata eletta per guidarlo.
Ma io sono esponente di una nuova generazione di emigranti che quei capitoli di storia (Tremaglia, i finanziamenti importanti, il riconoscimento formale, il Ministero) non li ha proprio mai visti in cartolina e che però ha un grandissimo desiderio di dare il proprio contributo e sa perfettamente vedere che miniera d’oro sia la capillarità della nostra presenza nel mondo, e che potenziale abbia quel poco tempo che tutti insieme possiamo mettere nell’impresa, se lo preserviamo dall’entropia e dalla conflittualità.
Ecco, io vorrei “dare il la” a questa nuova consapevolezza. Se funziona, l’effetto palla di neve mi pare quasi una conseguenza obbligata, e la politica potrà (e forse dovrà) dotarsi di altri strumenti rispetto a quelli attuali, a partire dalle determinazioni assunte nella legge finanziaria.
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