In rappresentanza di 115 (*) piccole e medie radio e televisioni locali, dislocate in ogni angolo del Paese, il Consiglio Direttivo della Associazione REA – Radiotelevisioni Europee Associate, nella riunione del Direttivo del 1 novembre 2022, ha dato mandato al Presidente Antonio Diomede di proporre al Governo Meloni le seguenti indicazioni per la soluzione della gravissima crisi in cui versa il comparto radiotelevisivo locale italiano.
Considerate le negative esperienze vissute si propone di attuare le seguenti proposte a carattere d’urgenza per salvaguardare 1.450 piccole e medie imprese radiotelevisive che assicurano pluralismo, libera informazione e massima occupazione, tra dipendenti e circuito lavorativo dell’ indotto, con circa 5.000 addetti di cui 700 giornalisti.
Premesso che la Corte Costituzionale e lo stesso Presidente Mattarella ha classificato il servizio informativo locale “d’interesse nazionale”; il livello di partecipazione degli italiani all’informazione è stato altissimo negli anni ‘70/90, con la fine del monopolio RAI, a seguito della sentenza n. 202 della Corte Costituzionale del 28 luglio 1976 che decretò la legittimazione delle radio e tv locali.
Per storicizzare tale liberatorio evento dalle grinfie del potere esclusivo dei governi di turno sull’informazione, la REA, l’Associazione delle emittenti locali, ha promosso una iniziativa di legge regionale celebrativa delle “Radio Libere” in modo da trasferire alle giovani generazioni il valore della libertà d’informazione conquistata dai propri padri. L’iniziativa è stata estesa a tutte le regioni italiane. In Campania, primo firmatario il Consigliere Tommaso Pellegrino, è stata approvata il 18 luglio 2022 con la declaratoria “Istituzione della Giornata celebrativa delle Radio Libere”. La Regione Lazio si appresta a discuterla grazie all’impegno del primo firmatario Consigliere Fabrizio Ghera.
L’emittenza locale, dopo 46 anni di onorato e indefesso servizio informativo per qualità e profonda penetrazione nel macro e micro territorio locale, qualificatasi nel mondo come autentico modello democratico d’impresa editoriale “Mady in Italy”, è stata semidistrutta da una serie di provvedimenti di legge, sacrificata sull’altare del libero mercato neoliberista alla stregua di qualsiasi attività commerciale, in spregio degli articoli 21 e 41 della Costituzione sulle libertà di comunicazione del pensiero e d’impresa volute dai Padri costituenti.
Il danno è tanto più grande se si pensa che con la decimazione dell’emittenza locale è stata tolta voce agli 8.000 sindaci di ogni comune d’Italia, associazioni, pubbliche istituzioni e, soprattutto, al singolo cittadino italiano residente nel paesino delle Alpi, del mare e della campagna, cosa questa, che rappresenta l’originalità democratica del sistema informativo del Made in Italy invidiato da tutto il mondo. Basta dare un’occhiata a http://radio.garden/visit/italy/rUtTcuHL per rendersi conto della presenza in Italia di oltre mille voci radiofoniche libere locali, senza tener conto dei 456 canali tv non presenti nella mappa e di 535 canali recentemente soppressi.
Ci chiediamo: perché distruggere questo bene democratico tutto italiano?
La strategia dei passati governi è stata quella di applicare concetti neoliberali alla radiotelevisione locale per consentire ai noti lobbisti che conosciamo, sempre attivi e presenti in Parlamento, di accentrare in poche mani i mezzi di comunicazione (frequenze e numerazioni sul telecomando), sia per motivi
economici che di potere.
Ad esempio, il leitmotiv di Confindustria comunicazioni, pubblicizzato fino all’ossessione, nelle sedi istituzionali e parlamentari spiegava tre falsi motivi per cui bisogna sopprimere le piccole e medie emittenti.
Primo motivo: perché non hanno dignità d’impresa per la esiguità del fatturato dimenticando che le imprese editoriali “pure”, senza televendite e mercanzia varia, non producono generi alimentari o ferramenta, ma producono informazione d’interesse generale cioè un bene non commerciabile per legge. Ragione, per la quale, meritano tutte, indipendentemente dalla loro dimensione e dal fatturato, di essere aiutate dallo Stato con provvidenze economiche e fiscali.
Secondo Motivo: sempre secondo Confindustria, gli introiti delle piccole e medie radiotv locali devono provenire dal mercato della pubblicità dimenticando principalmente che la pubblicità locale si reperisce nella misura in cui i mercati locali dell’artigianato, del commercio e dei servizi sono attivi e non passivi come da qualche decennio accade a causa della globalizzazione di cui tanto si discute.
Terzo ed ultimo leitmotiv confindustriale: è quello relativo alla ripartizione delle risorse economiche stanziate dallo Stato in forza di legge. Si tratta della legge 250/90 “Provvidenze per l’Editoria” e della legge 26 ottobre 2016 n. 198 che ha istituito il Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione. Confindustria va predicando che detti contribuiti non debbano essere assegnati a tutti gli editori, cioè assegnati “a pioggia”, ma solo a soggetti che hanno “dignità d’impresa” cioè solo alle grandi testate strutturate per reperire pubblicità e televendite. E’ l’antica storiella delle sette sorelle legate dagli stessi interessi che si ritrovano in Auditel partecipata, appunto, da Confindustria, RAI, La7, ASSAP , FIEG e UPA (Utenti Pubblicità Associati). Su RAI, Mediaset e La7 conosciamo tutto. La FIEG è l’associazione delle aziende editrici di giornali quotidiani, periodici e agenzie nazionali di stampa. L’UPA – Utenti Pubblicità Associati - è l’organismo associativo che riunisce le più importanti aziende industriali, commerciali e di servizi che investono in pubblicità, a volte, non per necessità economica ma per diverse convenienze, diciamo, d’immagine…. Si da il caso però che la grande industria, quasi tutta confindustriale, preferisce investire sulle anzidette Reti Nazionali e interregionali. Il maccanismo della ripartizione della pubblicità è il seguente. Auditel produce e pubblica i dati di ascolto, l’UPA provvede a dividere la torta solo alle tv iscritte ad Auditel quindi alle sette sorelle e, marginalmente, alle locali più attrezzate, maggiormente iscritte a Confindustria comunicazioni, che rappresentano lo 0,01% del contesto. Con tale sistema si consuma un clamoroso conflitto d’interessi del valore di circa 3,3 miliardi di euro le cui deduzioni etiche, morali, economiche e politiche le lasciamo agli esperti in materia.. Ciò accade grazie alla poco conosciuta rinuncia Agcom nell’eseguire i dati di ascolto Radio e TV come la legge 249/97 le assegna secondo l’articolo 1, comma 6, lettera b), punto 11 “Cura le rilevazioni degli indici di ascolto e di diffusione dei diversi mezzi di comunicazione….” . Una curiosità: nella filiera delle sette sorelle si nota la posizione singolare della RAI (pubblica) associata a Confindustria (privata) alla quale versa una copiosa quota associativa con il danaro dei cittadini (canone). E’ un mistero presente nel principale mistero del conflitto d’interessi, tra pubblico e privato, che legalizza indirettamente i dati Auditel (mai certificati) con la partecipazione azionaria della RAI in posizione maggioritaria del 33%. Ma questa è un’altra storia che racconteremo in altra occasione.
Il fatto è che la pubblicità della tivù è nelle mani duopolistiche delle sette sorelle e di Auditel con i suoi dati di ascolto che produce il l’95% della raccolta. La stragrande maggioranza delle piccole e
medie emittenti locali sono escluse
A tale reale situazione si aggiunge il DPR 146 del 23 agosto 2017 n. 146 recante “Regolamento concernente i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali” che attribuisce il 95% dell’85% del totale alle prime cento fortunate televisioni di una fantomatica graduatoria i cui requisiti per l’accesso sono stati confezionati a bella posta per far fallire il rimanente settore costituito da 1.450 piccoli e medi editori. Tra i requisiti, è bene dirlo, figura l’anzidetto dato di ascolto Auditel, mai certificato, con un punteggio che pesa il 30% del punteggio totale, ma che di fatto, per via di un ben congeniato meccanismo, il dato pesa più del punteggio assegnato alla occupazione fermo al 67%.
AUDITEL DETERMINA LA VITA O LA MORTE DELLE EMITTENTI LOCALI
Altra questione è l’impiego dei milionari contributi statali erogati dallo Stato alle fortunate prime cento televisioni in graduatoria DPR 146717. La REA, a mo’ di esempio, ha segnalato all’Antitrust il caso, non isolato, di una televisione della Lombardia, di proprietà di un gruppo editoriale multiregionale, che nel Bilancio 2020 riporta introiti per 12 milioni di euro di cui ben 8 milioni di euro sono contributi statali, parte dei quali, spesi per consolidarsi sul territorio acquistando i canali dei concorrenti in crisi creando accentramento delle risorse frequenziali, maggiore dominio sul territorio e disoccupazione anziché occupazione in contrapposizione della legge 198/2016.
Con la partita del controllo dell’informazione, l’Italia si gioca la propria reputazione di Stato democratico. In questo ultimo decennio è stato commesso tutto e di più; dalla soppressione delle provvidenze all’editoria pura all’esproprio di frequenze e numerazioni sul telecomando televisivo in favore, ancora una volta, degli Operatori di Rete RAI Whay ed Ei-Towers del Gruppo Mediaset.
E’ stata una becera operazione neoliberale da classificare come un attentato alle libertà costituzionali ovvero un crimine contro lo Stato e l’umanità per la violazione del diritto del cittadino di “informare ed essere informato” in modo pluralista (art. 21 della Costituzione) ; all’impresa è stato impedito il diritto della libera iniziativa economica privata in favore dell’utilità sociale e la valorizzazione della dignità umana come quella svolta dalle radiotv locali con l’attività informativa d’interesse generale (art. 41 della Costituzione).
Gli editori radiotelevisivi locali sono stati umiliati ed offesi nel loro ruolo di comunicatori sociali e imprenditori liberi. La democrazia costituzionale è stata gravemente ferita. Si chiede al Governo Meloni il ripristino dei perduti diritti costituzionali. Si chiede un atto di giustizia economica e sociale, specie nelle regioni del Sud Italia, per rimediare alla perdita di migliaia di posti di lavoro attraverso la riforma del DPR 146/17 considerato da illustri giuristi incostituzionale contrario all’interesse nazionale.
PROPOSTE D’INTERVENTO LEGISLATIVO
EMERGENZA BOLLETTE ENERGIA ELETTRICA
Il maggiore consumo di energia elettrica viene effettuato dagli oltre diecimila impianti di trasmissione radiofonica operanti in tecnologica analogica a modulazione di frequenza (FM) per la cui ragione la
relativa bolletta elettrica incide sensibilmente sui bilanci delle emittenti Radio.
Storicamente il legislatore prese atto di tale situazione affermando il principio delle provvidenze editoria con un rimborso percentuale del 50% della spesa elettrica a carico dello Stato ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera b-bis del Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Il provvedimento non è stato più adeguatamente finanziato.
Si chiede il ripristino delle Provvidenze Editoria con almeno 20 milioni di euro.
EMERGENZA TV AFFITTO CAPACITA’ TRASMISSIVA
In seguito all’avvento del digitale televisivo DVB-T2 , le imprese televisive locali (FSMA) sono costrette a pagare salatissimi canoni di affitto per l’utilizzo della banda (capacità trasmissiva) agli unici due Operatori di Rete (RAI e Ei –Towers/Mediaset) operanti con le frequenze espropriate alle locali in regime di duopolio. Il canone annuale medio è valutato in circa 80.000 euro/annui, salvo un probabile aumento già annunciato dal 2023. . E’ una cifra insostenibile per tre fondamentali ragioni dovute alla crisi economica globale, quindi alle negative risposte del mercato; alla mancanza di sufficiente pubblicità locale specie nelle regioni del Sud Italia; alla crisi pandemica da covid 19 e, soprattutto, alla sperequata ripartizione dei 126 milioni annui provenienti dal Fondo per il pluralismo e l’innovazione tecnologica che, attraverso il DPR 146/17, privilegia con somme milionarie una quarantina di televisioni strutturate sulle 1.450 esistenti. Tale stato di fatto ha provocato la perdita netta di 1.800 posti di lavoro tra il 2019 e il 2022, ed altri 1.200 se ne prevedono entro il 2023.
La spesa per salvare le televisioni locali (FSMA) non è eccessiva, ma occorrono almeno 10 milioni di euro disponibili per fine anno 2022 e 30 milioni di euro per il 2023
RIFORMA DEL DPR 146/17 – REGOLAMENTO EROGAZIONE FONDO CONTRIBUTI RADIOTV LOCALI
Riequilibrare la ripartizione e la distribuzione del Fondo per il Pluralismo e l’Informazione in proporzione alla forza lavoro impiegata senza vincoli di accesso ai Bandi e, per le ragioni sopra esposte, cancellando il punteggio assegnato al dato di ascolto Auditel
CAPACITA’ TRASMISSIVA PER TUTTI IN NOME DEGLI ARTICOLI 21 E 41 DELLA COSTITUZIONE
In occasione del passaggio dal DVB-T1 al T2 è possibile prevedere maggiore disponibilità di capacità trasmissiva da assegnare agli esclusi dai precedenti bandi assicurando una banda minima per tutti di 1, 5 Mbit/s a prezzo di affitto calmierato per assicurare occupazione e ottima qualità video in alta definizione con lo standard DVB_T2. Tale provvedimento consente di riassumere dipendenti licenziati e reimpiegare i cassaintegrati.
Allo scopo si chiede :
- Tavolo tecnico permanete di lavoro per l’efficiente uso della Capacità Trasmissiva per soddisfare il massimo impiego nell’informazione di interesse nazionale.
- Tavolo permanente, da costituire tra i ministeri del Lavoro ed ex MISE per il reimpiego dei
lavoratori licenziati nelle strutture pubbliche e private TLC.
ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO DELLA COMUNICAZIONE RADIOTELEVISIVA LOCALE
E’ quanto mai attuale assegnare alle Regioni la gestione delle Reti radiotv locali con le relative funzioni amministrative dell’ex Mise al fine di porre fine al duopolio RAI Way – Ei Towers/Mediaset . Sul tema, se accolto il principio, la REA esporrà appropriato documento di merito;
RILANCIO DELLA RADIO DIGITALE DAB (Digital Audio Broadcasting)
La Radio digitale DAB a livello locale giunse in Italia nel maggio 1999 ad opera delle associate REA Radio Radio, Radio Ti Ricordi, Radio Roma e Radio L’Olgiata che fondarono EuroDab Italia, oggi di proprietà di RTL. La REA contribuì non poco a lavorare con il gruppo di lavoro AGCOM per fornire al legislatore gli elementi tecnici per una legge di sistema per regolamentare il DAB. Oggi la Radio digitale DAB, dopo 25 anni di dure battaglie anche legali, è realtà ma l’attuazione giunge con notevole ritardo rispetto alla velocità tecnologica della Rete internet. Tuttavia è opportuno il recupero del DAB mobile ma occorre un Piano di assegnazione delle frequenze adeguato al suo utilizzo da parte di tutte le emittenti radiofoniche locali.
La carenza delle frequenze disponibili non consente una pianificazione omogenea lungo lo stivale per i noti problemi interferenziali con i Paesi esteri dell’Adriatico. La soluzione al problema è stata prospettata dalla REA a MISE e AGCOM indicando l’utilizzo del canale 13 VHF spento assegnato alla Difesa.
A tal riguardo si richiede di formare un Tavolo d’incontro con il Ministero della Difesa per approfondire la soluzione prospettata.
Il Consiglio Direttivo REA, nell’augurare un ottimo successo al Governo Meloni, assicura la massima collaborazione per l’attuazione di quanto proposto.
Roma, 4 novembre 2022
REA – Radiotelevisioni Europee Associate
Il Presidente, Antonio Diomede
(*) Al 31 dicembre 2018 le emittenti associate REA erano 425. Attualmente risultano iscritte nel Libro Soci 115 emittenti per via della chiusura di 582 canali televisivi (FSMA)
E del Dab radio cosa ne pensi ?